RIMANE UNA SCUSA
Testo critico di Stefano Morelli

Da ormai parecchi anni Luca Viapiana, concentrato nel suo studio che guarda Catanzaro abbracciandola tutta, compie una ricerca singolare e solitaria, sviluppando un approccio analitico nella descrizione dell’oggetto materiale e spirituale. Pittore, illustratore e regista, nato a Catanzaro nel 1977 e tetraplegico dal 2002, Luca descrive nelle sue opere un mondo in attesa, sospeso nell’attimo dell’immanenza.

Che siano le intense pitture, realizzate con accanimento figurativo utilizzando scontrini fiscali, o i manifesti anagrammati in chiave evocativa o le serie di carte con cui descrive la geografia emotiva del suo territorio, in tutte le sue opere Luca sembra cristallizzare l’attimo prima che un qualcosa accada. E’ una gioia che ancora deve esplodere, è un’attesa che ancora deve finire, un incontro che ancora deve compiersi, è la scoperta di un valore nuovo, incompiuto, indefinito.

Già nel 2014, dopo anni di studio intenso, regala al capoluogo di regione una prima sorprendente serie di illustrazioni con la quale descrive, catalogandole, le peculiarità emotive, paesaggistiche e antropologiche che costituiscono l’identità di ogni cittadino catanzarese. Si andava dalla prorompente Minnuta che avanza innocente e provocante in abito rosso per le vie del centro cittadino attirando gli sguardi indelicati dei passanti, al paesaggio infuocato del ponte Morandi che taglia il cielo e unisce i colli. Quaranta immagini, anzi visioni, raccolte in un cofanetto di carte da gioco, Il Mercante in fiera Catanzarese realizzato da Dal Negro Treviso e prodotto da Zatita Production. Un’impresa, quella del 2014, che oggi Luca Viapiana rilancia alzando la posta proprio come si fa nel celebre gioco di carte, documentando non più la conclusa e definita immagine cittadina ma affrontando la più vasta e frammentata identità regionale con Il Mercante in fiera Calabrese. E lo fa con lo spirito del poeta e dello scienziato, catalogando e sognando, vivisezionando la nostra regione alla ricerca di ciò che, in un territorio lontano da tutto e prima di tutto da se stesso, ci avvicini l’un l’altro, in cui possiamo riconoscerci non più come singolarità ma come popolo.

È una riflessione sull’identità, su un’identità che probabilmente non esiste, o meglio non esisteva.

E così, estraendo a sorte le carte, si compie un viaggio che è prima di tutto un viaggio dentro noi stessi, durante il quale incontriamo i simboli, i personaggi e le tradizioni che insieme costituiscono l’unicità della Calabria. Ma nulla è concluso, nulla definito, come in un sistema di scatole cinesi ogni soggetto ne richiama altri in una indeterminatezza esponenziale che restituisce la varietà, spesso slegata e contrastante, di una regione che ignora la propria ricchezza.
Partendo spesso da una base fotografica, per la quale allestisce complessi teatri di posa, passa poi a un bozzetto a china e quindi alle tavole grafiche computerizzate che, rispetto al Mercante Catanzarese, sono arricchite da una paletta cromatica triplicata che gli permette di giocare con disinvoltura con le profondità. La presenza inedita dei toni acidi del viola e del verde rendono l’asprezza fragrante della Cipolla o la sfacciata eleganza di Gianni Versace che ci guarda melanconico dalla sua villa di Miami Beach, perché la Calabria è dove sono i calabresi. Il contorno, alleggerito rispetto alla serie precedente, contribuisce a rendere l’immagine iconica ma non statica, imparentandola con la tradizione neobizantina della storia regionale pur mantenendo un’innegabile leggerezza Pop.

Notiamo delle mancanza, lacune che ogni sintesi non può non produrre, come ad esempio la Liquirizia o la Provola, elementi certamente importanti ma vittime di un ricercato equilibrio tra dislocazione geografica e scelta dei soggetti. Manca Mia Martini, a cui è stata preferita la prorompente sorella Loredana Bertè, La Regina, ritratta in una posa provocante a seno nudo ispirata da una sua copertina di Playboy. Sullo sfondo, di spalle, una instancabile bagnarota, la donna di Bagnara, figura mitica legata al trasporto di pescespada e materiali capace di sostenere sulle proprie spalle il peso dell’intera comunità, descrive una dualità intrinseca alla regione in cui tradizione e rivoluzione convivono senza guardarsi. E quindi La Pala eolica, nuovo elemento che segnerà il futuro paesaggistico, non si sa se come sfregio o totem giocoso. In ogni caso, si spera che la vacca podolica continui indifferente a pascolarvi sotto.

E continuando questo viaggio continuiamo a chiederci: Qual è l’identità della nostra terra? Esiste una sua natura comune, un sistema di immagini, tradizioni e idee in cui riconoscerci, su cui fondare il nostro essere? Luca non risolve la questione ma con la scusa del mazzo rintraccia immagini che sono come ricordi di un sogno.

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